Strani mesi questi nei corridoi delle high school e nelle pance delle famiglie con un figlio o una figlia all’ultimo anno di scuola superiore, qui negli Stati Uniti.
Sono i cosiddetti Senior, all’ultimo del loro quarto anno di scuola superiore. Ho scoperto trasferendomi che qui chiamano Freshmen gli studenti del primo anno, Sophomore quelli del secondo, Junior del terzo e poi appunto i Senior.
Mio figlio è un senior, ha diciassette anni e tra pochi mesi con un doppio diploma (americano e IB ) lascerà definitivamente il nido per andare all’università.
Ecco che un nodo alla gola mi pervade, un senso di vuoto, di nostalgia preventiva, di “ Spaccacuore ” come lo chiamerebbe Samuele Bersani.
Ed anche se l’ho sempre saputo che lui avrebbe preso il volo presto, il mio cuore sobbalza.
Dicono sia normale. Ma tant’è.
Gli anni del liceo negli Usa sono quattro, ma già dal terzo iniziano a muoversi le acque.
Iniziano i colloqui con i counselor finalizzati ad illuminare la loro mente sul futuro. Cosa vogliono studiare, cosa gli piace, quali materie non appartengono proprio alle loro attitudini, qual è il college giusto, quanto costa.
È legittimo a sedici anni che qualcuno di loro si senta perso. Se penso a me e alla mia generazione in Italia, la maggior parte di noi iniziava a pensare a quale università iscriversi solo nell’estate dopo la maturità.
Culturalmente gli americani sanno che dalla nascita devono pensare a finanziare gli studi universitari per i loro figli, perché mentre le scuole pubbliche superiori sono mediamente buone e soprattutto incluse nelle tasse, le università migliori americane sono private e molto, molto care.
E così quelli che possono permetterselo fanno un “college fund” che prevede, sin dalla nascita, un accumulo di denaro (tra l’altro non tassato) destinato a pagare il loro futuro accademico. I meno fortunati, che non hanno famiglie a sostenerli, hanno l’opzione del “ student loan” ovvero la possibilità di contrarre un debito con alcune banche americane che verrà ripagato con i primi salari post laurea (spesso per i successivi 20/30 anni).
Una volta capito questo sistema ti appare magicamente chiaro il motivo per cui lo sport a scuola negli Usa è così impegnativo e competitivo. Tante borse di studio vengono date a studenti per meriti sportivi e molto spesso è l’unica possibilità per tante famiglie di vedere il proprio figlio entrare in università prestigiose, oltre ovviamente alle borse di studio per meriti accademici.
Ora, per chi come noi italiani ha studiato a costo zero (o comunque a cifre abbordabili) rimane il dilemma di quale programma di studi sia il migliore tra quello europeo o americano. Ovviamente non ho la risposta giusta. Ognuno ha la sua storia, le proprie radici e le proprie finanze a cui rispondere.
Però è interessante chiedersi a pari opportunità di costo, ma anche di pura occasione cosa sceglierebbero i nostri figli. Dove sceglierebbero di formarsi e/o costruire il proprio futuro?
Al momento il mio controlla l’email ogni giorno in attesa che le università dove ha presentato domanda gli facciano sapere qualcosa. Alcune sono qui, negli Usa altre in Europa. Una addirittura in Italia. Poi deciderà.
Ed io cosa preferirei per lui?
Ho una risposta nel cuore, ma non è giusto che lui la conosca. Perché io non sono lui. Perché io dall’ Italia sono andata via che avevo 30 anni, lui in Italia non ci ha mai vissuto. Perché lui conosce tante lingue, io alla sua età a mala pena ne parlavo una. Perché lui pensa in modo diverso dal mio, ha alzato lo sguardo sul mondo molto prima di me, ha meno barriere culturali, meno confini geografici definiti, più slancio.
E perché davvero l’unica cosa che voglio è che mio figlio sia felice, al di là di dove studierà e di dove deciderà di far fiorire le sue stagioni.
Che, ne sono certa, saranno sfacciate primavere ma anche freddi e complicati inverni.
Diletta, Houston
Ciao Diletta,
Io vivo in Connecticut da circa 12 anni. Due figlie: una sophomore alle superiori e l’altra che si accinge finire il freshman year a NYU. Capisco a pieno il tuo stato d’animo, io l’anno scorso ero un po’ perplessa sul fatto che la primogenita stesse lasciando il nido ( e forse ancora più sconcertata dal processo che precede la scelta dell’università). Ti posso assicurare che le prime settimane sono dure (per noi genitori intendo!!!), ma poi — come a tutto — ci si abitua e si sviluppano nuovi equilibri. Un anno accademico passa veloce soprattutto quando i figli sono felici e realizzati. In bocca al lupo e non esitare a contattarmi in caso avessi domande!
Grazie Marcella per il tuo messaggio.
So che sarà un momento delicato per tutti ma sono certa che lo supereremo nel giusto modo. Grazie per seguire il nostro blog.
Ti abbraccio,
Diletta